Il Ministero dello Sviluppo Economico è pronto ad apportare le necessarie modifiche al decreto legislativo 178 del 2003 per evitare sanzioni europee. Si conclude con un passo indietro da parte del governo italiano, la guerra del cioccolato innescata dalla COmmissione Europea.

La sentenza della Corte di giustizia europea che ha condannato l’Italia per avere autorizzato la denominazione ”cioccolato puro” sulle etichette di prodotti di cioccolata , che invece avrebbero dovuto segnalare anche la presenza di ”altri grassi vegetali oltre al burro di cacao”, ha suscitato le polemiche dei “puristi” del prodotto. Secondo il Codacons e la Confederazione Italiana Agricola la condanna Ue lede gravemente il marchio made in Italy.

L’Italia perciò modificherà la dizione “cioccolato puro” bocciata nei giorni scorsii, ma fortemente voluta dalla aziende italiane in difesa del cioccolato tradizionale fatto solo con burro di cacao e senza l’aggiunta di altri burri vegetali di minor qualità.
Per Guido Gobino , uno dei più noti artigiani del cioccolato a Torino, invece “la Corte di giustizia dell’Unione Europea non ha tutti i torti a bocciare la dicitura “cioccolato puro” sulle etichette. “Quella denominazione – afferma Gobino – un pò di confusione nei consumatori la crea e può anche indurli in errore”. Il Ferran Adrià del cacao, infatti, non l’ha mai usata. ”Ci sembrava inutile scriverla – ha spiegato – perché il consumatore ci conosce. E’ inutile usare un termine che nessuno sa cosa vuol dire. Chi sa spiegare che cosa significa cioccolato puro? I prodotti vengono giudicati in base agli ingredienti utilizzati “.
La direttiva Ue violata dall’Italia
Nel 2000 l’Ue aveva autorizzato gli Stati membri a usare grassi vegetali sostitutivi del burro di cacao nel cioccolato alla sola condizione di indicarlo chiaramente nella lista degli ingredienti. Quando contengono fino al 5% di grassi vegetali diversi dal burro di cacao (detti sostitutivi), la loro denominazione resta immutata, ma la loro etichettatura deve contenere in grassetto la specifica dizione: contiene altri grassi vegetali oltre al burro di cacao.

La direttiva, caso davvero singolare nella storia comunitaria, aveva sostanzialmente trasformato in regola vincolante per tutti gli Stati membri un’eccezione che era stata inizialmente concessa ai soli paesi entrati più tardi nella Comunità europea (in particolare Gran Bretagna e paesi nordici), che commercializzavano su loro territorio cioccolato contenente i grassi sostitutivi, meno cari del burro di cacao. Elaborata dalla Commissione sotto le pressioni delle multinazionali del cioccolato (come la britannica Cadbury, la belga Callebout, la svizzera Nestlé), la direttiva era stata approvata a maggioranza qualificata dal Consiglio Ue, con il voto favorevole dell’Italia.

L’Italia, dopo le proteste dei consumatori e dei ‘puristi’ del cioccolato, aveva varato una normativa che prevedeva la dicitura “cioccolato puro” nelle denominazioni di vendita, o l’aggiunta di questa indicazione in altra parte dell’etichettatura dei prodotti che non contenevano grassi vegetali sostitutivi. La normativa prevede anche ammende da 3mila a 8mila euro in caso di violazione.

La Commissione europea, ritenendo che il consumatore è informato sufficientemente sulla presenza o meno nel cioccolato di grassi vegetali sostitutivi mediante la lista degli ingredienti, e che fosse sproporzionato e contrario alla direttiva l’impiego di una distinta denominazione di vendita, aveva deferito allora l’Italia alla Corte Ue, che le ha dato ragione.

Secondo la Corte perciò, l’aggiunta di grassi sostitutivi a prodotti di cacao e di cioccolato che rispettano i contenuti minimi previsti dalla normativa Ue non può produrre l’effetto di modificarne sostanzialmente la natura, al punto di trasformarli in prodotti diversi e, di conseguenza, non giustifica una distinzione delle loro denominazioni di vendita.

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