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Una situazione piuttosto allarmente scaturisce dal primo rapporto sulle Agromafie 2011, presentato da Eurispes e Coldiretti. Dalle false mozzarelle di bufala al concentrato di pomodoro cinese avariato e spacciato come Made in Italy, fino al prosciutto ottenuto da maiali olandesi e venduto come nazionale con tanto di fascia tricolore, ma anche grandi marchi di vini contraffatti, olio di semi imbottigliato come extravergine o Chianti prodotto in California.

Il problema dell’Italian sounding sta diventando un problema sempre più frequente per l’indotto del Made in Italy. Nel 2009, il settore dell’industria alimentare italiana ha registrato un fatturato di circa 120 miliardi di euro (fonte: Federalimentari), mentre il settore agroalimentare propriamente detto, escluso perciò il settore della silvicoltura, ha registrato un fatturato di 34 miliardi di euro (fonte: Ismea). Il giro d’affari complessivo si aggira su circa 154 miliardi di euro; in sostanza circa il 10% del Pil italiano 2009, secondo il Rapporto Eurispes-Coldiretti.

Nel nostro Paese sono state importate nel 2009 circa 27 miliardi di euro in materie prime, che sono state alternativamente vendute direttamente nel nostro Paese, quindi con un marchio ”Made in” o trasformate tramite almeno un processo dall’industria alimentare, e che, secondo la normativa europea attuale, possono fregiarsi del marchio Made in Italy. Queste merci, pur contenendo prodotti agricoli non italiani, data l’attuale normativa, possono essere rivendute all’estero con il marchio Made in Italy; ciò significa che su 27 miliardi di euro di importazioni, una parte di queste materie prime importate sono state senz’altro riesportate come Made in Italy.

Si stima che almeno un prodotto su 3 del settore agroalimentare importato in Italia sia trasformato nel nostro Paese e poi venduto sul nostro mercato interno e all’estero con il marchio Made in Italy. La diretta conseguenza di questo fenomeno è presto detta: sulla bilancia dei pagamenti almeno 9 miliardi di euro, nel solo 2009, sono stati spesi per importare dei prodotti alimentari esteri che sono stati poi rivenduti come prodotti delle eccellenze italiane. Ma il dato impressionante da questo punto di vista, sottolinea il rapporto, emerge applicando questa proporzione al fatturato complessivo di 154 miliardi di euro: circa il 33% della produzione complessiva dei prodotti agroalimentari venduti in Italia ed esportati, pari a 51 miliardi di euro di fatturato, derivano da materie prime importate, trasformate e vendute con il marchio Made in Italy.
Tra le contraffazioni agroalimentari più diffuse , secondo i Carabinieri dei Nas, il Corpo Forestale dello Stato e l’Ispettorato Repressioni e Frodi, ci sono:  il vino con marchi inesistenti o il miele con l’aggiunta illegale di zucchero. Il fatto poi che in Italia sono state importati 63 milioni di cosce di maiali dall’estero a fronte di una produzione di 26 milioni di cosce sta a significare che tre prosciutti su quattro venduti in Italia in realtà derivano da maiale allevati all’estero anche se agli occhi del consumatore sembrano tutti italiani. Secondo i dati forniti dalla Coldiretti, ad esempio, ben una mozzarella su quattro non deriva direttamente dal latte ma da cagliate, un semilavorato industriale spesso importato dall’estero, come pure i formaggini che sono stati ottenuti da polvere di caseina e formaggi fusi.
Inoltre,  sottolinea Coldiretti, a fare danni è anche il fenomeno dell’italian sounding , i prodotti che ricordano nel nome o nella confezione il Made in Italy che non hanno nulla a che fare con il sistema produttivo nazionale. Un giro d’affari che supera i 60 miliardi di euro all’anno (164mln al giorno), due volte e mezzo il valore dell’export agroalimentare. Secondo il rapporto Coldiretti-Eurispes, per riportare in pari la bilancia del commercio con l’estero basterebbe recuperare quote di mercato per appena il 6,5% del valore dell’italian sounding.

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