Cascina Lassi
CATEGORIA: aziende agricoleID ANTICONTRAFFAZIONE N.4828
La Cascina Lassi si estende per circa 60 ettari all’interno del Parco Agricolo Sud Milano, precisamente nel comune di Cerro al Lambro a soli 20 km da Milano.
È un’antica corte in tipico stile lombardo risalente al VI secolo circa, condotta dalla famiglia Zuffada fin dal 1949. Dapprima l’azienda produceva latte e caseificava Grana Padano, ma alla fine degli anni ’80, fu deciso di cambiare indirizzo produttivo orientandosi verso l’allevamento dei suini.
A partire dal 2009 avvennero i primi contatti con i G.A.S. (gruppi di acquisto), Slow Food, e il DESR (distretto di economia rurale del Parco Agricolo), fu aperto uno spaccio di vendita diretta in azienda e si iniziarono a vendere i prodotti della cascina: frutta, verdura, carne di maiale, salumi, insaccati, riso, farine, miele e uova, completando la gamma dei prodotti offerti, con quelli di altre cascine e di produttori artigianali sempre di alta qualità come formaggi, vino, olio, passata di pomodoro.
Il terreno che circonda la cascina è coltivato principalmente a mais, anche con antiche varietà come il Nostrano di Storo e il Pignoletto rosso. Dal mais, macinato su pietra in un mulino ad acqua come da antica tradizione, viene prodotta la farina da polenta. Così come il mais, anche il frumento – coltivato sulle restanti parti di terreno – viene macinato secondo i metodi tradizionali. Il risultato è una farina ottima sia per la preparazione di pasta per pizza sia di dolci, scelta da Slow Food per portare avanti dei progetti pilota per la panificazione. Da un paio d'anni, un piccolo, ma curato appezzamento di terreno è stato destinato ad orto.
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Cascina Palazzo: due parole quasi in contrasto.
Sembra un gioco di uno scenografo teatrale: un palazzo signorile del ‘600 che spunta fra le colline dell’Alta Langa.
È un edificio completamente diverso dall’architettura tipica delle tradizionali cascine di Langa, perché fu costruito come residenza di campagna per una famiglia della nobiltà torinese.
Immaginiamoli, gli aristocratici torinesi barocchi, incipriati e imparruccati, salire sulla carrozza nel cortile del loro palazzo di città, dopo che i domestici avevano caricato i bauli, e partire verso le terre allora selvagge dell’Alta Langa.
È tempo di feste, di balli, di caccia, di quel breve periodo di villeggiatura spensierata che l’aristocrazia sabauda si concedeva fra gli affari e le guerre.
Nel 1915 il mio bisnonno Luigi acquista il palazzo da un discendente della nobile famiglia torinese e lo trasforma in cascina.
Immediatamente cambia lo spirito del luogo: non più feste e villeggiatura, ma il lavoro duro della campagna.
Pianta subito degli alberi di nocciole, ben 300, che colloca nei versanti di terreno più soleggiati.
All’inizio l’attività della cascina comprende anche l’allevamento di buoi da lavoro, l’animale più usato nella vita agricola del tempo. Mano a mano, con il progredire delle macchine e dei trattori, l’allevamento dei buoi si è ridotto, lasciando sempre più spazio alle nocciole.
Così mio nonno Alberto, poi mio papà Angelo hanno costantemente ampliato la superficie destinata alle nocciole.
Per chi nasce in una cascina dell’Alta Langa, le nocciole sono compagne di vita fin da bambino, prima per giocare ad arrampicarsi sugli alberi, poi per fare merenda con la torta di nocciole preparata dalla nonna.
Questa è stata la mia infanzia: andavo nel noccioleto con mio papà, che mi raccontava e mi trasmetteva le sue conoscenze su come lavorare e preparare il terreno, come potare i rami, come controllare gli insetti.
Adesso tocca a me. Insieme a mio papà Angelo, mia mamma Rosalia, mia moglie Elisa, e i miei figli Mattia e Andrea a cui sto insegnando come amare e prendersi cura delle nocciole.
Come ogni persona che mi ha preceduto, ho voluto dare il mio tocco personale a Cascina Palazzo: così ho deciso di aggiungere alla coltivazione e alla raccolta delle nocciole anche la tostatura e la lavorazione. Per ottenere la crema, la pasta, la granella, la farina di nocciole. Tutto fatto in casa. Da noi. Con le nostre nocciole.
Manuel Quazzo